Letture in corso: Vittoria

Titolo: Victoria

Autore: Daisy Goodwin

Titolo originale: Victoria

Traduzione dall’inglese: Alessandra di Luzio

Casa editrice: Sonzogno

 

Prologo

Kensington Palace, Settembre 1835

La luce fioca dell’alba illuminò una crepa nell’angolo del soffitto. Il giorno prima quell’incrinatura sembrava avere la forma di un paio di occhiali, ma durante la notte un ragno aveva ricamato la sua tela nelle fessure, riempiendone i vuoti, e adesso aveva preso le sembianze d’una corona. Non la corona che portava suo zio, pesante e scomoda, ma il genere di coroncina che solo una regina potrebbe indossare: delicata come un merletto, ma al tempo stesso solida. Dopo tutto la sua testa, come la mamma e Sir John non si stancavano mai di rimarcare, era estremamente piccola: quando sarebbe arrivato il momento, e ormai era solo questione di tempo, avrebbe avuto una corona che le calzasse a pennello.

Sua madre, nel letto accanto al suo, russava. «Nein, nein!» gridava nel sonno, combattendo contro demoni immaginari. Quando sarebbe stata proclamata regina, avrebbe insistito per avere una camera tutta per sé. La mamma avrebbe piagnucolato, ovviamente, e avrebbe detto che voleva solo proteggere la sua preziosa Drina, ma lei sarebbe stata inamovibile: Già s’immaginava mentre pronunciava le seguenti parole: «In qualità di monarca, dispongo della protezione dell’intera Cavalleria Reale, mamma cara. Sarò senz’altro al sicuro nella mia camera.»

Un giorno sarebbe stata regina. Ora ne aveva la certezza. Suo zio il re era anziano e non godeva di buona salute, ed era troppo tardi perché sua moglie, la regina Adelaide, mettesse al mondo un erede. Vittoria – come lei stessa preferiva essere chiamata, benché sua madre e tutti gli altri la chiamassero Alexandrina, o peggio ancora Drina, un diminutivo che trovava più umiliante che vezzoso – non sapeva però quando sarebbe arrivato quel momento.

 

LETTURE IN CORSO: L’ISOLA DEL TESORO

Titolo: L’isola del tesoro

Autore: Robert Louis Stevenson

Titolo originale: Treasure Island

Traduzione dall’inglese, riveduta e aggiornata: Angiolo Silvio Novaro

Casa editrice: Newton Compton editori

 

Capitolo primo. Il vecchio lupo di mare all’ «Ammiraglio Benbow».

Pregato dal cavalier Trelawney, dal dottor Livesey e dal resto della brigata, di scrivere la storia della nostra avventura all’isola del tesoro, con tutti i suoi particolari, nessuno eccettuato, salvo la posizione dell’isola; e ciò perché una parte del tesoro ancora vi è nascosta, – io prendo la penna nell’anno di grazia 17.. e mi rifò dal tempo quando il mio babbo teneva la locanda dell’«Ammiraglio Benbow» e il vecchio uomo di mare dal viso abbronzato e sfregiato da un colpo di sciabola prese alloggio presso di noi. Lo ricordo come se fosse ieri, quando entrò con quel suo passo pesante, seguito dalla carriola che portava il baule. Alto, poderoso, bruno, con un codino incatramato che gli ricadeva sul colletto della sua bisunta giacca blu: le mani ruvide e ragnate di cicatrici, dalle unghie rotte e orlate di nero; e attraverso la guancia, il taglio del colpo di sciabola d’un bianco livido e sporco. Roteò in giro un’occhiata fischiettando tra sé, e poi, con la sua vecchia stridula e tremula voce ritmata e arrochita dalle manovre dell’argano, intonò quell’antica canzone di mare che doveva più tardi così spesso percuotere i nostri orecchi:

Quindici sopra il baule del morto,

Quindici uomini yò-hò-hò,

E una bottiglia di rum per conforto!

Poi con un pezzo di bastone simile a una manovella batté contro la porta e come il mio babbo apparve, ordinò bruscamente un bicchiere di rum. Appena gli fu portato, lo bevve lentamente assaporandolo all’uso dei conoscitori, e intanto seguitava a guardare intorno a sé esaminando le colline e la nostra insegna.

«Questo è un luogo adatto», disse alfine, «e ottimamente situato. Molta gente, amico mio?»

Mio padre rispose che no; poca assai: una desolazione.

«Bene. È l’ancoraggio che fa per me. Ehi, tu», gridò all’uomo della carriola, «vieni, e aiuta a portar su il mio baule. Resterò qui un pezzetto», continuò. «Sono un uomo alla buona, io: rum, prosciutto, uova; altro non mi bisogna, e quella punta lassù per osservar le navi che passano. Il mio nome? Capitano, potete chiamarmi. Ah, capisco ciò che vi preoccupa… Prendete!» E gettò sul banco tre o quattro monete d’oro. «Mi Avvertirete quando sarà finito», aggiunse, con uno sguardo fiero, da comandante.

 

Dal mio vecchio blog/2

Un articolo Pubblicato in occasione della Giornata Internazionale della Donna del 2016

“…….e prese in mano la sua vita”. Chi mi conosce sa quanto ami questo romanzo, “Nord e Sud”, e la sua autrice, Elizabeth Gaskell: ogni sua pagina per me è una luce di speranza. Per questo in occasione della Giornata Internazionale della Donna, vi dedico questo capitolo, in cui dopo tanto penare, la bella Margaret Hale decide di essere responsabile per sé stessa, in attesa del più dolce dei lieto fine.

Buona lettura e buona Festa della Donna!

CAP. XLIX.

RESPIRARE TRANQUILLITÀ

Sulla spiaggia assolata muove passi lenti,

Indugiando pensosa e incerta sul cammino;

Del dolore son questi i segni, taciti e santi.

HOOD

«Ma è Margaret l’erede?» sussurrò Edith a suo marito, quando furono da soli nella loro stanza la sera dopo il triste viaggio a Oxford. Prima di avventurarsi a fare la domanda, si era messa in punta di piedi, e cingendogli il collo gli aveva fatto abbassare la testa, supplicandolo di non scandalizzarsi. Tuttavia il capitano Lennox ne era all’oscuro; se mai ne aveva sentito parlare, l’aveva dimenticato; non poteva essere granché quello che aveva da lasciare un Professore di una piccola università; tuttavia non aveva mai voluto che lei si pagasse il vitto; e duecentocinquanta sterline all’anno erano una cosa assurda, considerando che non beveva vino. Edith riappoggiò i piedi a terra un po’ più mesta, con una storia romantica fatta a pezzi.

Una settimana dopo, andò verso suo marito pavoneggiandosi, e gli fece un profondo inchino:

«Io ho ragione, e voi avete torto, nobilissimo Capitano. Margaret ha ricevuto la lettera di un avvocato, ed è l’erede universale – e i lasciti ammontano a circa duemila sterline, e il resto a circa quarantamila, secondo l’attuale valore della proprietà a Milton.»

«Davvero ! E cosa pensa lei della sua bella fortuna?»

«Oh, pare sapesse fin dall’inizio che l’avrebbe ereditata; solo che non aveva idea che fosse così cospicua. Sembra molto pallida e debole, e dice che ha paura; ma sono sciocchezze, sapete, e passeranno subito. Ho lasciato la mamma a sommergerla di congratulazioni, e sono scappata via per dirvelo.»

Pareva doveroso, per consenso generale, che la cosa più naturale fosse quella di considerare da quel momento in poi il signor Lennox come il suo consigliere legale. Ne sapeva così poco lei di qualsiasi tipo di affare, che aveva bisogno di rivolgersi a lui quasi per tutto. Scelse per lei un amministratore; andava da lei con documenti da firmare. Mai era così felice come quando le insegnava simboli e caratteri che indicavano tutte quelle incomprensibili cose legali.

«Henry,» disse Edith, un giorno, con una certa malizia «sapete in cosa spero e mi aspetto che finiscano tutte queste lunghe chiacchierate con Margaret?»

«No, non lo so» rispose lui, arrossendo. «E desidero che voi non me lo diciate.»

«Oh, molto bene; allora non occorre che dica a Sholto di non invitare così spesso qui il signor Montagu.»

«Come vi pare» disse con forzato distacco. «Ciò a cui state pensando può succedere o può anche non succedere; ma questa volta, prima di espormi, voglio vedere dove metto i piedi. Chiedete a chi vi pare. Magari non è molto educato, Edith, ma se vi metterete in mezzo, rovinerete tutto. Per tanto tempo è stata scontrosa con me… e ha appena iniziato a sciogliere un po’ quei suoi modi da Zenobia. Ha l’indole di Cleopatra, se solo fosse un tantino più pagana!»

«Per quanto mi riguarda» disse Edith con un che di furbizia, «sono molto contenta che sia una cristiana. Ne conosco così pochi!»

Non ci fu la Spagna per Margaret quell’autunno; anche se fino all’ultimo sperò che qualche fortunata circostanza avrebbe portato Frederick a Parigi, e lei lo avrebbe potuto facilmente raggiungere con un convoglio. Al posto di Cadice, dovette accontentarsi di Cromer. Sua zia e i Lennox erano legati a quel posto. Sin dall’inizio avevano desiderato che lei li accompagnasse, e, di conseguenza, con il carattere che avevano, non fecero che pigri sforzi per incoraggiare il suo diverso desiderio. Forse Cromer, in un certo senso, fu la cosa migliore per lei. Aveva bisogno di rafforzare e rinvigorire il corpo e di riposo.

Tra le speranze svanite, c’era l’aspettativa, la fiducia che aveva avuto, che il signor Bell avrebbe spiegato al signor Thornton la semplice realtà dei fatti di famiglia avvenuti prima dello sfortunato incidente che aveva portato alla morte di Leonards. Desiderava che qualsiasi opinione del signor Thornton – per quanto diversa potesse essere da quella che aveva un tempo – fosse basata su una vera comprensione di ciò che aveva fatto; e sul perché lo aveva fatto. Sarebbe stata una soddisfazione per lei; l’avrebbe tranquillizzata su una questione sulla quale sarebbe stata ora irrequieta per tutta la vita, a meno che non fosse riuscita a decidere di non pensarci.

Era passato così tanto tempo da quegli avvenimenti, che non c’era nessun altro modo possibile per spiegarli se non quello che aveva perso con la morte del signor Bell. Doveva soltanto rassegnarsi, come molti altri, al fatto di essere stata fraintesa; ma, sebbene si convincesse di credere che il suo non fosse un destino insolito, il cuore non le doleva di meno per l’ardente desiderio che un giorno, anni e anni da quel momento, in ogni caso prima di morire, lui potesse sapere quanto era stata costretta a farlo.

Pensava di non voler sapere che tutta la spiegazione gli era stata data, le bastava soltanto poter avere la certezza che avrebbe saputo. Tuttavia questo desiderio fu vano, così come tanti altri; e dopo aver imparato a convincersi di ciò, si voltò con tutto il cuore e tutta la forza verso la vita che era lì pronta davanti a lei, e decise di impegnarsi per viverla al meglio.

Se ne stava seduta per ore sulla spiaggia, fissando assorta le onde che si frangevano col loro moto perpetuo sulla riva ghiaiosa, oppure guardava in lontananza quelle che si gonfiavano all’orizzonte lontano e baluginavano sullo sfondo del cielo, e sentiva, senza essere consapevole di sentire, il sacro canto che saliva incessantemente.

Si quietava senza sapere come o perché. Sedeva lì per terra, apatica, abbracciando le ginocchia, mentre sua zia Shaw faceva piccoli acquisti, ed Edith e il capitano Lennox cavalcavano in lungo e in largo sulla costa e nell’interno. Le bambinaie, passeggiando con i bimbi, passavano e ripassavano davanti a lei, e si chiedevano, sussurrando, che cosa avesse trovato da guardare così a lungo, giorno dopo giorno. E quando la famiglia si riunì all’ora di cena, Margaret era così silenziosa e assorta che Edith la dichiarò depressa, e accolse con gioia una proposta di suo marito, ovvero di invitare il signor Henry Lennox ad andare per una settimana a Cromer, al suo ritorno dalla Scozia in ottobre. Eppure tutto questo tempo per pensare permise a Margaret di mettere gli eventi al loro giusto posto, quanto a origine e significato, riguardanti sia la sua vita passata che quella futura. Quelle ore in riva al mare non erano perse, come avrebbe potuto vedere chiunque avesse avuto l’intuizione di scrutare, o la premura di capire, l’aspetto che il viso di Margaret stava gradualmente acquistando.

Il signor Henry Lennox fu fin troppo colpito dal cambiamento.

«Il mare ha fatto immensamente bene alla signorina Hale, dovrei supporre» disse, quando lei lasciò la stanza per prima dopo il suo arrivo in famiglia. «Dimostra dieci anni in meno di quando era a Harley Street.»

«E il cappellino che le ho regalato!» disse Edith, con aria trionfante. «Appena l’ho visto ho capito subito che le sarebbe stato bene.»

«Perdonatemi» disse il signor Lennox, con quel tono per metà sprezzante e per metà comprensivo che usava di solito con Edith. «Ma credo di saper distinguere il fascino dell’abito dal fascino della donna. Nessun semplice cappellino avrebbe reso gli occhi della signorina Hale così lucenti e allo stesso tempo così teneri, o le sue labbra così rosse e piene e tutto il suo viso così disteso e luminoso. E come, ma anche di più…» abbassando la voce, «come la Margaret Hale di Helstone».

Da quel momento quell’uomo brillante e ambizioso indirizzò tutte le sue forze per conquistare Margaret. Amava la sua dolce bellezza. Vedeva l’estensione latente del suo pensiero, che poteva facilmente – pensava – essere portato ad abbracciare tutti gli obiettivi che lui si era messo in cuore. Considerava la sua fortuna solo come una parte del nobile insieme della sua posizione e della sua persona: pur essendo del tutto consapevole che gli avrebbe istantaneamente consentito di elevarsi dalla sua condizione di povero avvocato. Alla fine avrebbe ottenuto un tale successo, e tali onori, da permettergli di restituirle, con gli interessi, quel primo anticipo in ricchezza di cui lui le sarebbe stato debitore.

Era stato a Milton per affari legati alle sue proprietà, ritornando dalla Scozia; e con l’occhio acuto di un abile avvocato, sempre pronto a cogliere gli imprevisti e a soppesarli, aveva visto che i terreni e i beni in affitto che lei possedeva in quella città ricca e in crescita accumulavano ogni anno molto valore aggiunto. Fu lieto di scoprire che l’attuale relazione che c’era tra Margaret e lui, di cliente e consulente legale, stava gradualmente sostituendo il ricordo di quel malaugurato e disastroso giorno a Helstone. Aveva infatti l’opportunità insolita di avere un rapporto più intimo con lei, ben oltre quello motivato dal legame tra le famiglie.

Margaret era semplicemente troppo contenta di ascoltarlo finché parlava di Milton, sebbene non avesse visto nessuna delle persone che lei in particolare conosceva. Ciò era dovuto al tono di disprezzo e spregio che avevano sua cugina e sua zia quando parlavano di quella città: proprio quei sentimenti che Margaret si vergognava a ricordare perché anche lei li aveva espressi e provati all’inizio quando era andata a vivere lì. Ma il signor Lennox quasi superava Margaret nell’apprezzare le qualità di Milton e dei suoi abitanti. La loro energia, la loro forza, il loro indomito coraggio nel lottare e combattere; la vivida intensità con cui vivevano, lo affascinava e catturava la sua attenzione. Non si stancava mai di parlare di loro; e non aveva mai avuto la percezione di quanto si ponessero troppi obiettivi egoistici e materiali per dimostrare tutta la loro potenza, instancabili nei loro sforzi, fino a quando Margaret, seppur nel bel mezzo del suo compiacimento, aveva il candore di sottolinearlo, come la macchia del peccato in tutto ciò che era nobile, e che andava ammirato. Tuttavia, quando altri argomenti le diventavano noiosi, e lei non dava che brevi risposte alle sue numerose domande, Henry Lennox scoprì che chiederle qualcosa sulle peculiari caratteristiche del Darkshire, le faceva tornare la luce negli occhi, il rossore sulle guance.

Al loro ritorno in città, Margaret soddisfò uno dei suoi propositi espressi in riva al mare, e prese in mano la sua vita. Prima di andare a Cromer, era sottostata alle regole di sua zia come se fosse ancora la piccola estranea impaurita che aveva pianto fino a quando non si era addormentata quella prima notte nella cameretta di Harley Street. Tuttavia aveva capito, in quelle solenni ore passate a pensare, che lei stessa un giorno avrebbe dovuto rispondere della sua vita, e di ciò che ne aveva fatto; e cercò di risolvere quello che è il problema più difficile per le donne, quanta parte di sé dovesse annullare per obbedire all’autorità, e quanta se ne potesse riservare per agire liberamente.

La signora Shaw era un modello di pazienza; ed Edith aveva ereditato questa affascinante qualità domestica; Margaret probabilmente aveva il carattere peggiore delle tre, perché il suo affinato intuito e la fervida immaginazione la rendevano precipitosa, e il suo precoce isolamento dagli affetti l’aveva resa orgogliosa; tuttavia aveva un’indescrivibile dolcezza infantile, che aveva reso i suoi modi, anche nei rari momenti di ostinazione, irresistibili un tempo; e ora, frenata ulteriormente da quella che tutti chiamavano la sua bella fortuna, ammaliava la riluttante zia facendole accettare la sua volontà. Così Margaret ottenne che le fosse riconosciuto il diritto di seguire le sue idee riguardo ai doveri.

«Solo non essere così risoluta» supplicò Edith. «La mamma vuole che tu abbia un valletto personale; e non ti sarà difficile averlo, visto che ce n’è un’infinità. Solo per farmi contenta, tesoro, non mostrarti troppo determinata; è l’unica cosa che chiedo. Valletto o non valletto, non essere così risoluta!»

«Non preoccuparti, Edith. Alla prima occasione, sverrò tra le tue braccia, mentre i domestici sono a cena; e poi come si fa con Sholto che gioca con il fuoco, e il piccolo che piange… inizierai a desiderarla una donna risoluta, all’altezza di ogni emergenza.»

«E non smetterai di scherzare ed essere gioiosa?»

«Non io. Sarò più gioiosa di quanto non sono mai stata, adesso che ho trovato la mia strada.»

«E non ti monterai la testa… e mi lascerai comunque comprarti i vestiti?»

«A dire il vero intendo comprarmeli da sola. Puoi venire con me se ti va; ma nessuno può compiacermi, soltanto io.»

«Oh! Temevo che ti saresti vestita di marrone e grigio-polvere, per non far vedere lo sporco che tirerai su in tutti quei posti. Sono contenta che tu voglia mantenere qualche vanità, giusto un accenno di umana debolezza.»

«Ho intenzione di restare sempre la stessa, Edith, se tu e mia zia riuscite a immaginarmi così. Solo che non avendo né un marito né un figlio a dettare i miei doveri naturali, devo farlo da sola, oltre a ordinarmi i vestiti.»

Nella riunione privata di famiglia, costituita da Edith, sua madre, e suo marito, si decise che forse tutti questi suoi progetti l’avrebbero legata ancora di più a Henry Lennox. La tenevano a distanza dagli altri amici i cui figli o fratelli potevano essere dei buoni partiti; e si convenne che Margaret non pareva gradire la compagnia di altri eccetto Henry, al di fuori della sua famiglia. Gli altri ammiratori, attratti dalla sua bellezza o dalla sua stimabile fortuna, venivano spazzati via da quel suo inconsapevole sprezzo nel modo di sorridere, verso strade frequentate da altre bellezze meno fastidiose, o altre ereditiere con una maggiore quantità di oro. Henry e Margaret lentamente diventarono amici sempre più intimi; tuttavia, entrambi non tolleravano la minima intromissione nei reciproci affari.

(Tratto da “Nord e Sud” di Elizabeth Gaskell, ed. Jo March)

Dal mio vecchio blog/1

Un articolo pubblicato in occasione della Giornata Internazionale della Donna 2015.

Oggi è la Giornata Internazionale della Donna, voglio fare gli auguri a noi tutte con questo brano estratto dal romanzo “Piccole donne crescono” di Louisa May Alcott, precisamente il momento in cui Jo decide di prendere in mano la propria vita. Auguri Donne!

Capitolo 9: “Teneri Turbamenti”.

[…]

Laurie si alzò di scatto e non appena ebbe attaccato “In alto i berretti della Dunddee”, Jo scomparve per non farsi più vedere finché l’amico non se ne fu andato, molto di cattivo umore.

Quella notte Jo rimase sveglia a lungo. Stava giusto per assopirsi, quando un singhiozzo soffocato la fece balzare al capezzale di Beth a chiederle ansiosa: <<Che cos’hai, cara?>>

<<Oh, credevo che tu dormissi>>, singhiozzò Beth.

<<E’ il solito dolore, tesoro?>>

<<No, uno nuovo, ma posso sopportarlo>>, e Beth cercò di trattenere le lacrime.

<<Spiegami bene quello che ti senti e cercherò di fartelo passare come ho già fatto per l’altro>>.

<<Non puoi. Non ci sono cure>>. E qui la voce di Beth si spense, e aggrappandosi alla sorella ella scoppiò in un pianto disperato, che Jo ne fu spaventata.

<<Dov’è che ti fa male? Devo chiamare la mamma?>>.

Beth non rispose alla prima domanda, ma nel buio si portò una mano sul cuore come se lì fosse il suo male, e con l’altra si aggrappò a Jo bisbigliando ansiosa: <<No, non chiamarla. Non dirle niente. Fra poco mi sarà passato. Mettiti qui vicino a me e carezzami la testa. Mi calmerò e mi addormenterò, vedrai>>.

Jo obbedì e come la sua mano accarezzava la fronte scottante e gli occhi umidi di Beth, il cuore le traboccava e aveva un gran desiderio di parlare. Ma per quanto giovane, aveva imparato che i cuori sono come i fiori, vanno trattati con delicatezza, e si devono schiudere da soli. E sebbene credesse di conoscere la causa del dolore di Beth, si limitò a chiedere nel tono più tenero:

<<C’è qualcosa che ti turba, cara?>>

<<Sì, Jo>>, dopo una lunga pausa.

<<Non ti sarebbe di conforto il dirmelo?>>

<<Ora no, non ancora>>.

<<Allora non farò domande, ma ricordati, Bethy, che la mamma e la tua Jo sono sempre qui, pronte ad ascoltarti e aiutarti, se possono>>.

<<Lo so. Te lo dirò più avanti>>.

<<Ti senti meglio ora?>>

<<Oh sì, molto meglio. Sei sempre così consolante, Jo>>.

<<E allora cerca di dormire, cara. Resterò qui vicina a te>>.

E così, guancia a guancia, le due sorelle si addormentarono, e al mattino Beth sembrò tornata quella di prima, poiché a diciott’anni né testa né cuore dolgono a lungo, e le parole affettuose possono guarire molti mali.

Ma Jo aveva preso la sua decisione. Dopo aver riflettuto a lungo sopra un suo progetto, lo confidò alla mamma.

<<L’altro giorno mi hai chiesto quali erano i miei desideri. Te ne voglio dire uno, mamma>>, cominciò mentre stavano sedute a cucire sole sole.

<<Quest’inverno voglio andarmene via un po’. Per cambiare>>.

<<Perché, Jo?>>, e la mamma alzò rapida gli occhi scrutandola, come se quelle sue parole nascondessero qualche mistero.

Tenendo gli occhi bassi sul lavoro, Jo rispose:

<<Voglio cambiare ambiente, mi sento inquieta, ansiosa di vedere, fare e imparare cose nuove. Qui insisto troppo nel ruminare i miei piccoli crucci, e ho bisogno di una scrollata. Se quest’inverno si può fare a meno di me, vorrei tentare un breve volo, provare le mie ali>>.

<<E dove vorresti andare?>>

<<A New York. Ieri mi è venuta un’idea luminosa: la signora Kirke ti ha scritto chiedendoti se conoscevi una ragazza seria che sapesse cucire e insegnare alle sue bambine. È piuttosto difficile trovare quello che ci vuole, ma credo che, se mi ci provassi, io riuscirei>>.

<<Ma cara, vuoi andare a servizio in quella grande pensione?>>, e la signora March pareva sorpresa, ma non dispiaciuta.

<<Non è proprio un andare a servizio, poiché la signora Kirke è una tua amica, la persona più amabile che sia mai esistita, e farebbe di tutto per rendermi il soggiorno piacevole, lo so. Poi la sua famiglia vive separata dai pensionanti, e nessuno mi conosce. Non mi importerebbe anche se

mi conoscessero: è un lavoro onesto e non me ne vergogno>>.

<<Nemmeno io. Ma come faresti a scrivere?>>

<<Il diversivo mi farà bene. Vedrò e sentirò cose nuove, e mi verranno idee nuove. Anche se laggiù non avrò molto tempo per scrivere, verrò a casa con una quantità di materiale nuovo per le mie sciocchezze>>.

<<Non ne dubito. Ma è questa la sola ragione di questo tuo improvviso capriccio?>>

<<No, mamma>>.

<<Posso sapere le altre?>>.

Jo alzò gli occhi e poi tornò ad abbassarli, e disse lentamente con le guance improvvisamente in fiamme: <<Può essere vanità mia, e posso anche anche sbagliarmi ma… ho paura… che Laurie cominci ad attaccarsi un po’ troppo a me>>.

<<Allora tu non gli vuoi bene come sembra che lui cominci a volerne a te?>>, e questa domanda la signora March la fece con aria molto preoccupata.

<<No, per carità. Voglio molto bene a quel caro ragazzo, come gliene ho sempre voluto, e sono immensamente orgogliosa di lui. Ma se vuole qualcosa di più, niente da fare!>>.

<<Ne sono molto contenta, Jo>>.

<<E perché, mamma?>>

<<Perché, cara, non vi ritengo fatti l’una per l’altro. Come amici andate benissimo e i vostri frequenti bisticci sfumano subito. Ma temo che entrambi vi ribellereste se foste legati per tutta la vita. Vi assomigliate troppo, e tutte e due amate troppo la libertà, e avete entrambi un temperamento troppo focoso e una volontà troppo forte per poter vivere felicemente insieme. La vita a due richiede infinita pazienza e sopportazione, oltre che amore>>.

<<E’ proprio quello che sentivo io, sebbene non lo sapessi esprimere. Sono contenta che, secondo te, lui cominci soltanto a volermi bene. Mi addolorerebbe molto dargli un dolore. Ma non potrei certo innamorarmi di quel caro ragazzo solo per gratitudine, non ti pare?>>

Sei proprio sicura dei suoi sentimenti a tuo riguardo?>>.

Il rossore si accentuò sulle guance di Jo mentre rispondeva, con quel misto di piacere, orgoglio e pena che tutte le ragazze provano per il loro primo innamorato.

<<Temo proprio che sia così, mamma. Non ha detto nulla, ma lo lascia chiaramente trapelare. E credo che sia meglio che me ne vada, prima che la cosa cominci a farsi seria>>.

<<Sono d’accordo con te e, se sarà possibile, andrai>>,

Jo parve sollevata e, dopo una pausa, disse sorridendo: <<Come la signora Moffat si meraviglierebbe, se lo sapesse, della tua mancanza di intraprendenza, e come si rallegrerebbe di sapere che ci sono ancora speranze per Annie>>.

<<Oh Jo, le mamme possono essere diverse nel loro modo di comportarsi, ma una speranza è in tutte uguale: il desiderio di veder felici i propri figli. Meg lo è, e io sono contenta. A te lascio godere la tua libertà finché non te ne sarai stancata, poiché allora capirai che c’è qualcosa di più dolce della libertà. Ora la mia preoccupazione più grande è Amy. ma il buon senso l’aiuterà. Per Beth non oso sperare altro che riacquisti la salute. A proposito, sembra più allegra da un paio di giorni. Le hai parlato?>>

<<Sì, ha ammesso di avere un cruccio e mi ha promesso di dirmelo. Io non ho insistito perché credo di conoscerlo già>>, e qui Jo raccontò quanto pensava.

La signora March crollò la testa e non prese la cosa dal lato così romantico. Ma appariva preoccupata e ripeté la sua opinione che, per il bene di Laurie, Jo doveva andarsene per un po’ di tempo.

<<Non diciamogli nulla finché non sarà tutto combinato. Allora io me ne andrò così all’improvviso da non dargli modo di riprendersi dalla sorpresa e far delle tragedie. Beth deve credere che me ne vado per far piacere a me, il che è anche vero. Con lei non posso parlare di Laurie, ma lei lo può carezzare e consolare quando sarò partita io. Ha già passato tanti di questi”piccoli guai” che ormai c’è abituato, e spero che dimenticherà presto la sua passioncella>>.

Jo parlava piena di fiducia, ma non poteva liberarsi dal timore che questa volta <<il piccolo guaio>> sarebbe stato molto più duro degli altri, e che Laurie non sarebbe guarito tanto facilmente dalla sua passioncella.

Il progetto venne discusso in un consiglio di famiglia e approvato. La signora Kirke fu ben felice di accettare Jo e promise di fare di tutto per non farle sentire la nostalgia della famiglia. L’insegnamento le avrebbe dato da vivere, e avrebbe potuto dedicare allo scrivere tutto il tempo che le sarebbe rimasto libero, mentre l’ambiente e le persone nuove le sarebbero state utili e piacevoli a un tempo.

Jo era soddisfatta della prospettiva e non vedeva l’ora di andarsene, poiché il nido familiare cominciava a farsi troppo angusto per il suo spirito irrequieto e la sua natura avventurosa. Quando tutto fu combinato Jo ne diede l’annuncio a Laurie con tremore e paura. Ma , con sua grande sorpresa, questi lo accolse con perfetta calma. Negli ultimi tempi si era fatto più serio, sebbene sempre di buonumore. E quando per scherzo lo accusavano di star <<voltando pagina>> rispondeva con tutta serietà: <<Precisamente, e intendo fermarmi su questa>>.

Jo si sentì molto sollevata al pensiero che, proprio in quel momento, Laurie si trovasse in preda a uno dei suoi accessi di virtuosità, e fece i suoi preparativi con il cuore tranquillo. Beth sembrava molto più allegra e Jo era convinta di aver appianato tutto con la sua decisione.

<<Una cosa affido alle tue speciali cure>>, disse alla sorella la sera prima di partire.

<<Intendi parlare dei tuoi manoscritti?>>, domandò Beth.

<<No, del mio ragazzo. Sii molto buona con lui. Vuoi?>>

<<Ma certamente. Ma non posso prendere il tuo posto, e lui sentirà molto la tua mancanza>>.

<<Non gli farà male. Ricordati che lo affido a te per punirlo, carezzarlo e farlo rigare dritto>>.

<<Farò del mio meglio, per amor tuo>>, promise Beth, domandandosi meravigliata perché Jo la guardasse in modo così strano.

Salutandola, Laurie le bisbigliò in modo significativo:

<<Non servirà proprio a nulla, Jo. Io ho messo gli occhi su di te, e così bada a quello che fai, altrimenti verrò a prenderti per ricondurti a casa>>.

(Tratto da “Piccole Donne Crescono” di Louisa May Alcott, Grandi Tascabili Economici Newton.)